giovedì 5 settembre 2013

Grammatica siciliana


DIECI REGOLETTE DI ORTOGRAFIA E MORFOLOGIA DEL DIALETTO SICILIANO

Sono qui elencate dieci regole di ortografia e di morfologia del siciliano: quelle che riguardano le forme più correnti e più controverse di scrittura dialettale. È un manualetto di immediata consultazione, una guida rapida, certamente non esaustiva ma che, mi pare, coerente, snella e semplice; soprattutto non è appesantita dai molti segni diacritici e da una scientifica trasposizione fonetica del vocalismo e del consonantismo siciliani, che mettono in crisi poeti e scrittori dialettali.

Questa iniziativa non vuole assolutamente inserirsi nell’articolato e complesso dibattito che è in corso sul modo di scrivere il siciliano; intende invece sollecitare proprio i dialettologi a  proporci un manuale completo e scientifico sull’ortografia e sulla morfologia del nostro dialetto, continuando l’opera intrapresa da Pitré, da Avolio, da Piccitto, da Vann’Antò, da Camilleri e da altri. Il siciliano purtroppo non si è risolto in lingua, coi suoi codici grammaticali accettati da tutti, ma è rimasto dialetto, seppure importante e con una meravigliosa letteratura alle spalle, ancora viva; per questo ha una grammatica molto controversa e una scrittura dialettale frastagliata e legata a forme grammaticali locali.  

Le regole qui proposte sono quelle maggiormente condivise in Sicilia, sia in ambito poetico (la poesia è la forma privilegiata della scrittura in dialetto) sia in ambito narrativo ed etnologico. Qualche occhio di riguardo si è avuto per la provincia siracusana, essendo questo un allegato della rivista “I Siracusani”, alla quale va il mio più sentito ringraziamento.

 

 1 - Gli articoli


a - Gli articoli determinativi il e lo diventano lu oppure u (molto usato è anche ’u). La diventa ’a. I plurali i, gli, le diventano li oppure i.
Es. Il fiume > lu / u ciumi; la gatta > la / ‘a jatta; i fiori > li / i ciuri; le mandorle > li / i mènnuli. 

b - L’articolo indeterminativo un diventa un o nu. Nel parlato è frequente l’uso di legare l’articolo alla parola che segue e allora un diventa n oppure diventa m, se precede le consonanti p e b; il legamento si evidenzia con un trattino. Il femminile una diventa sempre na.
Es. Un cani, nu cani, n-cani; m-piru; na casa; n’àcula; m-masuni.

Ø  È ancora molto frequente l’uso di ’n (aferesata) non considerando definitiva la caduta della vocale. Per non generare confusione con la preposizione semplice ’n (in) ho preferito lasciare l’apicetto solo a quest’ultima. 

 

2 - Le preposizioni semplici


a - Di e da diventano ri e, soprattutto nella scrittura letteraria, di.
Es. Di lontano > ri / di  luntanu; da quando > ri / di quannu.

 

b - A rimane a

 

c - Su diventa supra (più vernacolare è susu).

Es. Su di te > supra ri / di tia


d - Per diventa ppi o pi, più raramente pri.
Es. Per la strada > ppi / pi /pri  la strata
      Per te > ppi / pi /pri-ttia

e - In diventa nni oppure ’n che, a seguito del rafforzamento sintattico, viene legata alla parola che segue con un trattino.
Es. In te > nni tia; in cielo > ‘n-celu; ’n-cantina

Ø  Non si sconsiglia neppure il mantenimento di in specialmente nei casi di omofonia con l’articolo indeterminativo. Es. in mari apertu anziché ’n-mari apertu).

f - Con diventa ccu.

Ø  Qualcunu scrive cu ma questa forma appare non condivisibile perché la c iniziale suona sempre forte e quindi va raddoppiata. Ciò anche per distinguere la preposizione dal pronome relativo cu (chi).

g - Tra passa al suono invertito tra

h - Fra resta invariato

 

3 - Le preposizioni articolate


Due forme predominano in Sicilia: la prima tende a rispettare la separazione fra preposizione semplice e articolo; la seconda opera una contrazione fra le due forme grammaticali. In questo secondo caso la contrazione viene espressa con l’accento circonflesso sulla vocale. Davanti a vocale rimane sempre la forma articolata ri lu / ri la oppure a lu / a la o anche nni lu /nni la e nta lu  / nta la.

a - Del, dello diventano ri / di lu oppure rô. Dei, degli, diventano ri / di li oppure rê.
Es. Del campo > ri / di  lu campu oppure rô campu;
       Dell’uomo > ri / di l’omu;
       Dei monti > ri / di  li  munti o muntagni;
       Degli dèi > ri / di  li dèi;
       Degli asini > ri / di  li scecchi o scecchi.

b - Della diventa ri / di la oppure râ . Delle diventa ri /di le oppure
Es. Della strada > ri /di  la strata oppure strata;
    Dell’acqua > ri / di  l’acqua;.
      Delle terre > ri / di  li terri;
      Delle ali > ri / di  l’ali;
      Delle donne > ri / di li fimmini o fimmini.

c - Al, allo diventano a lu oppure ô. Ai, agli diventano a li oppure ê.
Es. Al cinema > a lu / ô cìnima;
      All’angelo > a-ll’àncilu (a l’ancilu è forma più letteraria );
      Ai gatti > a li / ê jatti

d - Alla diventa a la oppure â.
Es.  Alla chiesa > a la / â chiesa;
       All’aria > a-ll’aria / a l’aria

 

e - Sul diventa supra lu oppure supra u.


f - Per i diventa ppi / pi / pri li oppure ppê.

g - Nel diventa nni lu / nnô / ntô.  Nella diventa nni la / nnâ / ntâ. Nei, negli diventano nni li / nta li oppure nnê / ntê. Davanti a vocale rimane la forma articolata nni / nna / nta- ll’.
Es. Nel cielo > nni lu / nnô / ntô celu /cielu;
      Nella terra > ni la / nnâ / ntâ terra.
      Negli occhi > nni / nna / nta-ll’occhi (meno usato nall’occhi)
      Nell’acqua > nna / nta-ll’acqua
      Nei muri > nni li / nta li / ntê / nnê mura

h - Con il diventa ccu lu oppure ccô; con la diventa ccu la oppure ccâ. Con i, con gli, con le diventano ccu li oppure cchê. Davanti a vocale rimane la forma articolata ccu l’.
Es. Con il carro > ccu lu / ccô carru;
      Con le mani > ccu li / cchê manu;
      Con gli angeli > / ccu-ll’ancili (più letterario ccu l’ancili).

 

 

4 - I pronomi relativi


Che diventa ca o chi.
Chi usato normalmente nelle frasi interrogative diventa cu o cu’.
Cui diventa cu’ (ma si mantiene anche cui).

Es. Che vento stamattina si è alzato! > Chi ventu stamatina ca si susiu!

      Chi viene? > Cu’/ cu veni?

      Chi fece questo palazzo lo seppe ben fare > Cu fici stu palazzu lu

      sappi bon fari.

      Il libro di cui si parla > lu libbru ri cu’ si parra

 

5 - Gli avverbi


Perché, poiché > pirchì, ca
finché > finu a quannu
anche, pure > anchi, macari, puru 
inutilmente > ammàtula
qua e là > cca e ddhà (non c’è motivo di scrivere ccà).

6 - Fenomeni di fonosintassi


a – In molte aree della Sicilia (Palermo, Catania, Siracusa) c’è l’assimilazione di  r ed l alla consonante che segue.
Es. Porta > potta;  arma > amma;  finalmenti > finammenti,  salsa >
      sassa; barca>vacca.

b - L’occlusiva dentale sonora d o mantiene lo stesso suono dentale o si trasforma in rotata r . Spesso perde la consonante e rimane solo ’i. Nei dialetti siracusani prevale l’uso della rotata r.
Es. Di te > di / ri tia oppure ’i tia

c – Il nesso nd produce nn per assimilazione. Tale fenomeno si manifesta anche se n e d appartengono a due diverse parole.
Es. Mondo > munnu; grande > ranni o granni
      Non dire > nun-niri / nu-nniri;
      Non dormo > nun-normu / nu-nnormu oppure nun-nuòrmu

d – I nessi mb e nv producono mm sia che si trovino nel corpo della stessa parola o che appartengano a due parole diverse.
Es. Gamba > jamma; convento > cummentu / cummientu;
      Non vedo > num-miru oppure nu-mmiru      

e - In fonosintassi, oltre al raddoppiamento consonantico, le parole vengono legate col trattino.
Es. Cca-ssutta, cca-bbanna, ddhà-ssupra, ccu-ttia


  • Questa regola non è accettata da tutti, anche se l’uso del trattino si sta sempre di più diffondendo. Qualcuno scrive ca ssutta, a mia, pi tutti, a l’arba ecc. È bene fare una scelta precisa e coerente anche se non mi scandalizzerei più di tanto nel vedere nello stesso verso le due forme coesistenti. Ma è bene anche non abusare del trattino di congiunzione, anche quando due o tre parole vengono pronunciate con un’emissione di suono continua. Il parlante è portato a unire le parole tenendo spesso in poca considerazione l’esatta pronuncia e le pause del discorso. È preferibile limitare l’uso del trattino a quei pochi casi dove appare strettamente necessario.


7 - La metafonesi


È un fenomeno di dittongazione vocalica (si può parlare anche di parziale assimilazione), per cui la vocale tonica subisce l’influsso della vocale postonica, che è in genere quella finale. A Siracusa il fenomeno non esiste mentre nei Comuni di Avola (dove passa l’isoglossa metafonetica), Noto, Pachino, Rosolini e Portopalo il fenomeno è ben vivo. La metafonesi riguarda la Ě e la Ǒ del latino che si sviluppano, in siciliano, in ed in presenza di Ī e Ū finali della base latina.
Conseguentemente nelle parole italiane che terminano per –i ed –u le vocali toniche e ed o diventano ed .
Es. FĚRRU > frru; PĚCTU > pttu
      Meglio > megghiu (Siracusa) e mgghiu negli altri comuni.
      Morto > mottu a Siracusa e mrtu negli altri comuni     


 

8 - Le consonanti


a - L’occlusiva alveolare invertita forte, che continua solitamente -LL latino, viene trascritta in diversi modi: dd, dd (con il puntino sotto ogni lettera) e anche ddh. Noi, per motivi di trascrizione tipografica e per semplificare al massimo, preferiamo utilizzare quest’ultima versione, la quale, proposta da Vann’Antò, oggi la si ritrova con sempre maggiore frequenza, soprattutto in poesia. 
Es. Anguilla > anciddha; cappello > cappeddhu o cappieddhu


b -  La c fricativa prepalatale sorda lene viene resa col grafema ç .
     Es. Abbaçiù, çiuri, çiauru, cuçinu, çiatu.

Ø  In effetti non c’è un solo grafema per il fonema c. In Sicilia si evidenziano diverse pronunce, più o meno sibilanti, con posizioni che vanno dal prepalatale al postpalatale e all’aspirata. Per restare in provincia di Siracusa se ne citano due: la prepalatale anzidetta che viene sentita nel capoluogo, quella ancora più strisciante, che si avverte a Noto (fiume >sciumi) e quella più chiusa che si pronuncia a Pachino (ciumi, ciatu, cìnima).

c – La b d’inizio parola si raddoppia
Es. Bbanchina, bbeddhu, bestia, bbiancu, bbisognu, bbunaca.

 

d – La r d’inizio parola si raddoppia
Es. rragnu, rrestu, rriggina, rristari, rrituornu, rrologgiu, rrosa, rrussu.

Ø  L r non è doppia nei casi in cui si è verificata la caduta della consonante iniziale, come in (g)ranni, (g)riddhu,(g)rassu, (d)rittu.

 

 


9 - L’accento


Una regola generale giustifica l’accento ogni qual volta si possa generare un equivoco di pronuncia; in ogni caso sono molti ormai che usano accentare sempre le parole proparossitone (sdrucciole).  Tuttavia il siciliano, come l’italiano, è una lingua piana, cioè l’accento di norma cade sulla penultima sillaba; per di più le parole ossitone non sono frequenti (almeno fino ai primi decenni del novecento il siciliano tendeva a renderle piane aggiungendo un’altra sillaba). Pertanto si potrebbe mettere l’accento solo nelle sdrucciole limitatamente ai casi in cui si possa generare confusione.
Es.  Pèrdiri e perdiri,  jùnciri e junciri, ammàtula, àncilu e angilu.
      Città >cità / citati; pietà >pietà /  pietati; su >supra / susu;
      partì > partiu;  .
 
Ø  I monosillabi sono generalmente senza accento, tranne qualcuno come ddhà, cchiù. Le forme to e so sono preferite a to’ e so’ (con l’uso dell’apicetto per la caduta della i finale) mentre non mi paiono giustificabili le forme accentate di e sò.



10 – L’aferesi e l’apocope

a - L’aferesi si ha ogni qual volta c’è la caduta di una vocale, di una consonante o di una sillaba ad inizio di parola. In siciliano, fino a qualche decennio fa, si usava indicare tale caduta con l’apicetto (quell’apostrofino iniziale che a molti sembra ormai una sciccheria). Oggi tutte queste cadute sono da considerarsi definitive e quindi non c’è motivo di aggiungere l’apicetto, a meno che non si voglia distinguere una forma grammaticale da un’altra.
Es. In e un > ’n e n; la e a > ’a e a
Es. Imbarcare > mbarcari / mmarcari;
      Imbroglio > mbrogghiu / mprogghiu / mpruògghiu;
      Incatenare > ncatinari
      Questo >chistu >stu

b – Come l’aferesi anche l’apocope segnala la caduta di una vocale o di una sillaba, ma in questo caso ciò avviene alla fine della parola. Quando questa caduta non è definitiva oppure si può generare un equivoco con parole omofone, è meglio evidenziare il fenomeno con il solito apicetto.
Es. vo’ per voi o voli; fa’ (imperativo), su’ per sugnu e sunnu, cu’ per cui, po’ e po (può).



Si riportano ora degli esempi di scrittura dialettale secondo le regole che abbiamo esposto. Si tratta di due mie poesie inedite, scritte con due forme ortografiche leggermente diverse ma entrambe condivisibili.
           
                        Lu Pàssiru

                       
                        Nicu
                        ntâ manu ranni
                        rrispira appena
                        u pàssiru
                        scantatu.

                        Com'è luntanu u to cielu, Patri!
                        Ccu-ll'ali tènniri
                        curtu è u volu
                        e duru u rrizzolu.

                        Sàutu caru svulazzu...
                        cercu puru iu
                        com’ô pàssiru
                        u civu râ libbirtà
                        ppâ me fami r'infinitu.

                        E tu mi lassi fari, Patri:
                        ti godi u spittaculu.

                        Sàutu caru svulazzu...
                        cercu stampelli ri nuvuli
                        ppô me foddhi volu
                        ma ’a to casa ri suli
                        mi bbrucia i pinni,
                        comu ’a libbirtà.
                        E rrestu a liveddhu râ terra.

                        Poi, ccu-ll'ali chiusi,
                        m'abbannunu
                        nnâ conca rê to manu.


Il Passero
Piccolo / nella mano grande / respira appena / il passero / spaventato.
Com'è lontano il tuo cielo, Padre! / Con ali tenere / è corto ogni volo / e dura ogni caduta.
Salto cado svolazzo.../ cerco pure io / come il passero / il seme della libertà / per la mia fame d'infinito.
E tu mi lasci fare, Padre: / ti godi lo spettacolo.
Salto cado svolazzo.../ cerco stampelle di nuvole / per il mio folle volo / ma la tua casa di sole / mi brucia le penne, / come la libertà. / E resto a livello della terra.
Poi, con le ali chiuse, / mi abbandono / nel cavo delle tue mani.                           


Aceddi


Orizzunti di celu e di terra
sutta l'ali di l'aceddi.

Luci nta la luci, aria nta l'aria...
volanu di nuvula in nuvula
circannu la terra sunnata
nta li notti di timpesta.
Spiriti di lu celu, l’aceddi.

Spiriti di la terra, l’aceddi,
ali nfuti ca sfùjunu
comu pinzeri annuvulati
ca cercanu albi assulati e sireni
unni riseni ancora
l’alitu di la paci scarpisata.

Truvirannu l'oru di li spichi
e lu vecchiu nidu ntra li rami,
l’aceddi?
Truvirannu lu paradisu di l’àipi
d’arreri a ogni nuvula, l’aceddi?

Sutta l’ali
celi senza cunfini
terri senza dugani
lìbbiri...lìbbiri!

E iu,
girasuli ccu li ràdichi nfussati,
stòrciu la testa pi la mmiria.



Uccelli. Orizzonti di cielo e di terra / sotto le ali degli uccelli.
Luce nella luce, aria nell'aria, / volano di nuvola in nuvola / cercando la terra sognata / nelle notti di tempesta. / Spiriti del cielo, gli uccelli.
Spiriti della terra, gli uccelli, / ali dense che sfuggono / come pensieri nuvolosi / che cercano albe assolate e serene / dove ristagna ancora / l’alito della pace calpestata.
Troveranno l'oro delle spighe / e il vecchio nido fra i rami, / gli uccelli? / Troveranno il paradiso dei gabbiani / dietro ogni nuvola, gli uccelli?
Sotto le ali /  cieli senza confini / terre senza dogane / libere...libere!
E io, / girasole con le radici infossate, / storco la testa  per l'invidia.



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