Etnologia
IL PUBBLICO DEI CANTASTORIE
Giovanni Virgadavola: La Baronessa di Carini
Tre sono normalmente i soggetti che danno luogo a una comunicazione artistica (narrativa, poesia, arti visive): l’autore, l’opera e il fruitore.
1. L’autore è il creatore dell’opera: la concepisce, la
estrinseca e la realizza dando forma alle sue fantasie.
2. L’opera è il frutto di quelle fantasie: ha una
specifica forma, un tema morale, lirico, drammatico o epico, e un contenuto
inteso come visione del mondo.
3. Il fruitore può essere di vario tipo: lettore (narrativa),
spettatore (cinema, danza), ascoltatore (musica), visitatore (arti visive).
Nel
caso dei cantastorie (così come avviene nella musica) i soggetti che danno
luogo alla comunicazione artistica sono quattro: oltre ai primi tre bisogna
includere anche il cantastorie, che si fa mediatore fra autore e spettatore.
Il cantastorie interpreta il testo, lo fa proprio, lo offre al pubblico con
quei tratti recitativi e gestuali che ne esaltano la drammaticità e la funzione
catartica.
L’opera, oltre al racconto dei fatti (fabula), costruisce un
modello entro il quale il pubblico si ritrova e si identifica; a volte è un
modello conforme alle sue regole sociali ed etiche, altre volte non è conforme
ma subisce un ribaltamento. L’opera dei cantastorie è generalmente un testo
epico (Salvatore Giuliano) o agiografico (La vita di Sant’Agata) o di cronaca
(i tanti fatti di sangue che hanno dato luogo a clamorosi casi giudiziari) e
anche di costume (la parità dei sessi, le contrapposizioni fra generazioni
ecc.).
Il pubblico dei cantastorie ha connotati precisi: fino agli anni
sessanta era un pubblico di contadini, di lavoratori a giornata, di impiegati, di
ragazzi o di giovani; difficilmente si vedevano donne o commercianti, artigiani
e professionisti (questi ultimi erano occupati nelle attività lavorative). Dopo
gli anni sessanta il cantastorie, oltre alle piazze, acquista anche altri spazi
di spettacolo: le arene e i teatri, i palchi delle piazze, gli ambienti
culturali, i raduni; il pubblico si fa più eterogeneo e più esigente; il
cantastorie cambia repertorio o il modo di proporre il testo; diventa più
attore e ricerca nuove forme musicali e recitative, sconfinando spesso nei
generi di pertinenza dei folksinger o dei cantautori, si fa accompagnare da
altri (prima era solo) mettendo su un vero e proprio spettacolo musicale.
Se
il cantastorie si evolve prendendo le strade di una nuova comunicazione
artistica per venire incontro alle esigenze più smaliziate e più sofisticate
del pubblico moderno, dall’altra parte il pubblico stesso si dispone
all’ascolto con un duplice interesse: il primo è costituito dalla curiosità di
assistere a uno spettacolo tradizionale che nei tratti essenziali è rimasto
inalterato per centinaia di anni; il secondo è riconducibile al fascino che
esercita il racconto, la storia, ubbidendo a quella necessità poetica,
affabulatoria e narrativa, che appartiene alla natura umana.
Il
pubblico dei cantastorie è dunque un pubblico che si attende molte cose da
quello che il cantastorie gli propone; vediamone alcune.
1 - Il piacere
Il
piacere ha una duplice espressione: quella della condivisione dei valori
sociali e quella del loro ribaltamento.
Si
ha la condivisione quando il pubblico si riconosce nelle storie raccontate, le
quali presentano un modello universale e non particolare: il senso della
giustizia, l’amore materno o quello fra due innamorati, la fede cristiana e la
santità della vita, l’onestà e la laboriosità; questi valori, che appartengono
ai vecchi modelli della società contadina, agli antichi valori ordinati da un
forte senso dell’appartenenza a un gruppo sociale ben individuato e
circoscritto, rispecchiano pienamente le regole conosciute e praticate da quel
pubblico e quindi vederle applicate anche nella storia che si ascolta procura
un senso di soddisfazione, di sicurezza e quindi di piacere.
Si
ha invece il ribaltamento quando attraverso la storia si arriva alla
liberazione dalle regole sovrastrutturali imposte dalla società. In questo modo
si sovverte la scala dei valori condivisi da un gruppo o da una società ricostruendola
secondo le categorie dei valori assoluti o naturali (l’amore, la giustizia
umana, il soddisfacimento dei bisogni ecc.).
Per
farvi un esempio prendiamo due casi emblematici: Salvatore Giuliano e La
baronessa di Carini.
1.1
- Nel poemetto sul bandito di Montelepre il pubblico, abilmente condotto dal
cantastorie e stimolato dal testo, accorda la propria simpatia al bandito e non
certo ai carabinieri e alla Legge, la quale viene vista come coercitiva e
ingiusta. Il pubblico, stimolato dal cantastorie che faceva leva anche sui
sentimenti materni e passionali dell’ambiente familiare, giustificava le azioni
delittuose del giovane bandito perché in Giuliano si vedeva l’esito estremo ed
eroico di un forte comune malumore per leggi ritenute inique e antipopolari. Il
Robin Hood siciliano venne indotto alla macchia per sottrarre un sacco di grano
alle ingiuste leggi daziarie e protezionistiche che non consentivano di sfamare
la sua famiglia. Anzi cominciò a rubare ai ricchi per dare ai poveri, secondo
un principio di eguaglianza sociale e umana. Il sovvertimento dei valori
avveniva dunque su una scala di diritti primari: primo bisognava mangiare e poi
si poteva parlare di ordine pubblico, mentre in ogni società democratica e
ordinata secondo i principi giurisdizionali del diritto civile, al primo posto
c’è il rispetto delle regole sociali e morali.
1.2
- Ne “La baronessa di Carini”
avviene la stessa cosa. Sappiamo tutti quanto i siciliani tengano alla fedeltà
coniugale, al rispetto delle regole matrimoniali e alla sottomissione della
donna al marito; tutti, nella vita reale, disapproviamo l’abbandono di una
donna sposata all’amore di un altro uomo, eppure nella finzione letteraria,
giustifichiamo un amore fuori delle regole. E quando don Cesare Lanza, padre di
Laura, sposata con don Vincenzo II La
Grua , uccide la figlia perché ha infangato il nome della
casata divenendo amante del cavaliere Ludovico Vernagallo, il pubblico insorge
verso quel gesto tremendo e piange la morte di Laura. L’ascoltatore mette al
primo posto l’amore, quel sentimento che non ha regole e costrizioni e che come
un fiume in piena tutto travolge e inonda. Così avviene al cinema, così avviene
leggendo un romanzo e così avviene ancora ascoltando “l’amaro caso della baronessa di Carini”.
Questo
primato dei diritti naturali cui l’uomo obbedisce in modo spontaneo e immediato
ci suggerisce una domanda cruciale: cos’è la letteratura e, nel caso nostro,
quali funzioni esercita la storia che viene raccontata?
La
letteratura è, fra tutte le sue possibili definizioni, una ricostruzione
verosimile del reale, nel senso che ci dà un’immagine o un modello della
realtà, utilizzando i procedimenti del realismo letterario che sono simili ma
non uguali a quelli che si svolgono nella vita concreta di tutti i giorni.
Nel
grande mare della letteratura vanno a confluire diversi fiumi; fra questi
quello dell’epica è uno dei più importanti e dei più vicini al gusto del
pubblico. L’epica narra le vicende eroiche o tragiche di un popolo, di un
gruppo di persone o di un solo individuo e smuove i sentimenti più profondi
dell’ascoltatore, il quale si identifica con l’eroe e lo segue con trepidazione
nelle sue avventure. Inoltre l’epica, come tutte le opere d’arte, procura
piacere nell’ascoltatore, nel senso che lo libera da inibizioni profonde e inconsce,
disponendolo favorevolmente all’accettazione dei fatti che verranno raccontati.
In tal senso l’opera letteraria ha la stessa funzione del lettino dello
psicanalista e il cantastorie veste i panni dello psichiatra che cerca di
scoprire e curare le angosce e le ansie dell’ammalato.
Già
Freud aveva individuato questa funzione terapeutica dell’arte e Norman N.
Holland in un suo saggio memorabile (La
dinamica della risposta letteraria – Il Mulino edizioni, 1986) scandaglia l’approccio psicanalitico all’opera
letteraria mettendo in evidenza il patto che si instaura fra autore e lettore
e, nel nostro caso, fra il cantastorie-mediatore e l’ascoltatore. È in virtù di
questo patto che il pubblico giustifica e accetta quel sovvertimento morale che
altrimenti non potrebbe giustificare nella vita reale.
2 - La solidarietà fra le persone del
gruppo sociale a cui l’ascoltatore appartiene.
L’uomo
vive di consenso e nel consenso, cioè viene pienamente soddisfatto (ha piacere)
se si può riconoscere ampiamente nelle regole e nella vita del suo stesso
gruppo. I contadini che ascoltavano la storia di Giuliano appartenevano allo
stesso ceto e lo stesso bandito di Montelepre apparteneva a quel ceto, quindi
in questo caso c’è una doppia identificazione con un maggiore coinvolgimento
psicologico e culturale.
3 - La catarsi.
Già
Aristotele, nella sua Poetica, ci ha parlato di catarsi della tragedia. “L'arte è considerata un'imitazione della
natura secondo verosimiglianza, che arreca diletto e nel contempo trasmette
conoscenza. L'arte tragica, in particolare, mette in scena le passioni umane,
lasciando comunque trapelare un ordine razionale nel susseguirsi degli eventi.
Lo spettatore, per via della verosimiglianza del materiale tragico, è spinto a
immedesimarsi nella vicenda fino a ottenere la "catarsi", un
liberatorio distacco dalle passioni rappresentate, che interviene nel momento
in cui si coglie la razionalità celata negli eventi. Proprio per questo valore
conoscitivo la poesia è "più filosofica" della storia. (Microsoft
® Encarta ® Enciclopedia Premium. © 1993-2004 Microsoft Corporation.).
Questo
concetto è vicino e consequenziale a quello citato del piacere perché è proprio
il piacere che procura quel distacco dalle passioni rappresentate producendo il
vuoto nella nostra coscienza; in questo vuoto ci sentiamo di accogliere le
ragioni dell’eroe, il quale ci porta una nuova più alta logica delle cose e ci
libera dalle nostre costrizioni mentali e culturali.
4 - La formalizzazione
Questo
è un aspetto che è correlato allo stile del cantastorie e a quello dell’opera.
Per quanto riguarda il cantastorie tradizionale i tratti più evidenti del suo
stile erano:
à
il suo arrivo con
un’automobile facilmente riconoscibile per le esplicite scritte;
à
la scelta di uno
spazio adeguato;
à
la preparazione
dello spettacolo con cartellone, chitarra, sedia, bacchetta ecc.;
à
il suo invito al
pubblico ad accorrere per sentire la tragica storia;
à
l’attacco
recitato – alto e solenne – con l’invito al pubblico;
à
il racconto della
storia che alterna commenti e versi recitati ad altri cantati;
à la voce stessa
del cantastorie, di chiara estrazione contadina, baritonale o tenorile,
gutturale e modulata secondo poche ma vibranti tonalità.
Per
quanto riguarda la storia essa viene proposta secondo gli schemi tradizionali
dell’epos siciliano: sestine o ottave di endecasillabi a rima alterna con un
racconto dei fatti che ubbidisce a uno schema ben riconoscibile:
à un proemio dove
si presenta il contesto degli avvenimenti e si dà il primo commento;
à lo sviluppo della
storia, intercalato di osservazioni personali da parte del cantastorie, il
quale interviene nella storia con la stessa funzione che ha il coro nella
tragedia greca;
à l’epilogo dove si
invoca la divinità a rendere giustizia dei misfatti dell’uomo: L’epilogo ha
anche una funzione didattica molto evidente: vuole ricordare agli ascoltatori
che bisogna operare il bene e la giustizia se non si vuole incorrere nel
disordine sociale e nella punizione divina.
Abbiamo
voluto esplicitare i tratti più evidenti che caratterizzavano il pubblico dei
cantastorie e che forse ancora sono attuali anche per lo smaliziato pubblico di
oggi. Siamo coscienti che tutto cambia e si evolve nel quadro di una comunicazione
sempre più globale e coinvolgente; ma fin quando ci sarà una storia da
raccontare potremo suscitare l’eterno stupore della nostra fantasia,
sospendendo per poche ore la nostra incredulità e accettando le regole imposte
dal cantastorie e dalla storia che racconta.
Corrado Di Pietro: da Ethnos 2006